Tordeck avanzava con l’ascia nanica in pugno, guidando il gruppo grazie alla sua abilità di vedere al buio. Il sotterraneo in cui si trovavano era silenzioso e ogni cunicolo che dipartiva dal corridoio principale sembrava celare infinite trappole mortali. La puzza di marcio e di stantio li soffocava a tal punto che trattenevano a stento dei colpi di tosse. Nell’oscurità un ritmico rumore di ferraglia echeggiava sulle pareti e li accompagnava nel loro incedere.
“Tordeck” disse Feloniel “Puoi per piacere fare meno rumore? Ogni tuo passo sembra un golem di pentole sulla pista da ballo.”
“Senti elfo effemminato…” rispose brusco il nano.
“Tordeck, io sono una femmina…”
“Chissenefrega!” tagliò corto il nano “Siete tutti uguali voi elfi! E comunque prova te a non fare rumore con un’armatura pensante!”
“Potresti toglierti gli schinieri, di sicuro aiuterebbe”
“Starai scherzando spero? Mi stai proponendo di andare in giro a piedi nudi nella tomba del grande Buzkunnar?”
Il piccolo gnomo che li seguiva intervenne confuso “Ma non si chiamava Bufnarkeen?”
“Non sò se può toglierseli” precisò il barbaro in coda al gruppo che reggeva una torcia.
“Che vuoi dire? Certo che può!” rispose l’elfo.
“Si ma credo che questo gli comporti dei malus alla classe armatura…”
Tutti lo guardarono confusi.
“Ah, scusate! Stavamo parlando in GDR, non avevo capito”
Gli avventurieri si guardarono l’un l’altro come se Banedon avesse iniziato a parlare un’altra lingua. Lo gnomo alzò le spalle incapace di dare spiegazioni e tutti concordarono silenziosamente sul fatto che abbandonare il discorso avrebbe giovato alla loro lucidità mentale.
Ripresero ad avanzare in silenzio, o meglio, senza parlare. Nonostante gli sforzi di Tordeck per muoversi lentamente, le piastre della sua armatura sfregavano l’una con l’altra e i suoi passi risuonavano come dei gong nel silenzio della cripta.
“Fermi!” intimò Feloniel.
Tordeck si arrestò di colpo e Owin, lo gnomo, andò a sbattergli contro. Ancora una volta il concetto di “silenzio” fu offeso mortalmente. Feloniel alzò gli occhi al soffitto sconsolata.
“Che ti prende?!” domandò Tordeck.
“C’è una trappola sul pavimento”
“Dove?” domandò lo gnomo.
L’elfo indicò un punto poco avanti. Lo gnomo aguzzò gli occhi, ma non sembrava scorgere nulla che lasciava presagire un marchingegno mortale.
Diede voce ai suoi dubbi e disse: “Vedo solo una piastrella smossa”
Lei lo guardò come se fosse un imbecille. “Appunto!”
“Vuoi dire che la trappola è la piastrella smossa? Cosa ti fa pensare che sia una trappola?!”
“Siamo in una tomba abbandonata da migliaia di anni, è OVVIO che ci siano trappole”
“Proprio perché questa tomba è abbandonata da migliaia di anni è OVVIO anche che ci siano piastrelle smosse. Mai sentito parlare del concetto di umidità?”
L’elfo sollevò le mani sopra le spalle come per prendere le distanze da quanto detto. “D’accordo, credi che non sia una trappola? Vai avanti e dimostramelo.”
“E per quale motivo dovrei essere io quello davanti?! Non era Tordeck che guidava il gruppo?”
Il nano fu visibilmente contrariato di essere coinvolto nella diatriba, aprì la bocca per parlare, ma venne anticipato dalla voce petulante dell’elfo.
“Che ti prende? Hai detto che non è una trappola, mi pareva ne fossi sicuro”
“Non ho mai detto che non è una trappola” chiarì lo gnomo “Ho solo detto che è normale che ci siano piastrelle smosse”
“Se è così normale allora perché ti preoccupi?!”
“Potremmo camminarci intorno senza schiacciarla…” disse timidamente il nano, ma la sua voce venne sovrastata da quella degli altri due.
Un forte rumore metallico davanti a loro li interruppe. Tutti si voltarono e videro un grosso spadone rimbalzare per terra, accanto alla presunta piastrella assassina.
Gli sguardi tornarono a rivolgersi al barbaro che con aria compiaciuta disse: “Visto che non smettevate più ho risolto io la situazione. Apparentemente non è una trappola”
I tre compagni cercarono delle obiezioni da muovere, ma il concetto di silenzio era ormai tanto lontano che faticavano a pronunciarne la parola stessa. Non trovando altro su cui aggrapparsi si accontentarono di annuire sconsolati.
Il barbaro raccolse la sua arma soddisfatto e la ripose nel fodero dietro la schiena. Il nano tornò a guidare il gruppo e i quattro ripresero ad avanzare. I corridoi erano tutti identici gli uni agli altri e orientarsi era difficoltoso. A Feloniel vennero dubbi sulla capacità di ritrovare la strada del ritorno.
“Tordeck…” bisbigliò Owin.
“Dimmi…” rispose con voce altrettanto bassa il nano.
“Tu sei esperto di costruzioni giusto? Mi domandavo… secondo te perché l’architetto di questa tomba ha fatto tutti questi corridoi lunghissimi, che spesso terminano in vicoli ciechi?”
Il nano si trovò improvvisamente impreparato. Effettivamente la domanda non era stupida.
“Voglio dire…” incalzò lo gnomo “D’accordo che devi scongiurare la possibilità che dei ladri derubino la tomba, ma in tal caso non era meglio tenerla nascosta invece di costruire quelle grandi statue all’ingresso?”
“Beh… ma l’hanno fatto per celebrare il grande Burgunnar” balbettò il nano.
“Ma non era Baffunnen? E comunque… anche se fosse, a quel punto sarebbe stato meglio semplicemente farla più vicino alla città e sorvegliarla, invece di costruirla in mezzo ad una foresta.”
Il nano era a corto di motivazioni e le domande dello gnomo lo stavano mettendo in difficoltà.
Fortunatamente un piccolo bagliore in fondo al corridoio e un lieve odore di bruciato gli offrirono il pretesto per sfuggire alle domande. “Guardate!” disse indicando davanti a sè.
Tutti si appiattirono alle pareti e Banedon spense la torcia per non attirare l’attenzione. Feloniel con un gesto della mano indicò a Tordeck di stare immobile e ad Owin di avanzare. Il piccolo gnomo scivolò avanti con passo felpato, più silenzioso di un gatto. Ben presto la sua abilità di nascondersi nelle ombre lo rese invisibile anche ai suoi compagni.
Giunto all’origine della luce vide che il corridoio sbucava in una enorme stanza. All’interno c’erano dei goblin seduti attorno ad un grande fuoco, intenti a mangiare la carcassa di qualche bestia. Owin li osservò per qualche istante, cercando di memorizzare tutto quello che c’era nel locale, e tornò dai suoi amici.
“Cosa c’è?” domandò impaziente Feloniel.
“Un gruppo di quindici goblin” disse lo gnomo.
“Goblin? Cosa ci fanno qui dei goblin?” chiese il nano confuso.
“Ci vivono” suggerì Banedon.
“Qui?! A trenta metri sotto terra, nella tomba di Boldunnan, dopo due chilometri di tunnel?!”
“Sa… saranno creature solitarie” ipotizzò incerto il barbaro.
“Apparentemente ha ragione Banedon, c’è un grande fuoco, qualche giaciglio e stanno mangiando la carogna di qualche animale”
Il nano guardò lo gnomo con fare scettico. “E quindi hanno scelto un posto dove devono fare due chilometri di cammino, all’andata e al ritorno, semplicemente per uscire dal loro accampamento e procurare cibo?”
“I goblin non sono mai stati famosi per la loro intelligenza” intervenne brusca Feloniel. “Quello che mi lascia perplessa è come mai non si siano mossi dalla tana nonostante il frastuono che abbiamo provocato”
Forse sono un pò duri di orecchi. Pensò Banedon, ma gli sembrava di sentire la superficie degli specchi scivolargli sotto le mani. Scacciò quel pensiero e subito gli venne un’idea. La sua espressione divenne raggiante.
“Poco importa, abbiamo il round di sorpresa! Io dico di buttarci dentro e massacrarli, tanto i goblin sono di livello basso”
Ancora una volta la confusione si dipinse sulle faccie dei presenti alle parole di Banedon.
Tordeck abbozzò una traduzione fiduciosa. “C…credo che Banedon abbia ragione. Abbiamo il vantaggio della sorpresa”
Feloniel annuì. “D’accordo, uccidiamoli rapidamente”
Silenziosamente si avvicinarono all’ingresso della stanza. Le voci gutturali dei goblin furono sufficienti a sovrastare il rumore dei passi di Tordeck. Banedon estrasse il suo pesante spadone e lo impugnò gonfiando i muscoli delle sue braccia poderose. Owin estrasse i pugnali da lancio e si acquattò nell’oscurità, Feloniel iniziò a gesticolare sussurrando qualcosa e le sue mani si illuminarono di magia.
Quando furono tutti pronti Banedon si lanciò nella stanza con un urlo di battaglia, immediatamente seguito dal nano che volteggiava minacciosamente l’ascia nanica. Dietro di loro Feloniel sgusciò oltre l’ingresso fino a raggiungere un angolo dove aveva la chiara visuale del campo di battaglia. Owin approfittò della confusione per cercare di cogliere i goblin alle spalle. Le povere creature abbandonarono il cibo e cercarono di raggiungere freneticamente le armi. Le prime morirono sotto i colpi terribili dei due guerrieri. Altri goblin fecero in tempo ad afferrare le armi e riuscirono a resistere all’assalto, ma i pugnali di Owin gli si infilzarono profondamente nella schiena. Due goblin provarono a fuggire ma vennero raggiunti da delle freccie di luce scagliate dalle punte delle dita di Feloniel. Con un gemito strozzato si accasciarono a terra.
“Vigliacchi! Coglierci alle spalle mentre stavamo cenando!” piagnucolò uno dei goblin nella sua lingua orribile. Gli avventurieri capirono qualcosa come:
“Krukkit! Gagaruan furnkantes rubaradande kolomorf!”.
“Che sta dicendo?” domandò lo gnomo.
“Probabilmente sta maledicendoci nella sua schifosa lingua” borbottò Tordeck.
“Sento freddo Grumsah, dammi la mano!” (Kurdanaar ni Grumsah, nanuur krikkkut!)
Delle lacrime bagnarono gli occhi di uno dei goblin. “Pensavamo di esserci ormai allontanati alla crudeltà del mondo… ci sbagliavamo!” (Yvnakkar uskartashtosh iussahniket wukretikh kobf grushant… kpreffne nftaxxirsf!)
“Che cosa hai detto di mia madre?!” sbraitò il nano e spaccò il cranio al goblin lanciando schizzi di sangue verde sul pavimento.
“Maledetti barbari assassini privi di umanità” dissero il goblin e il nano contemporaneamente, in due lingue diverse; infine, anche il secondo goblin esalò l’ultimo respiro.
Banedon riempì il petto di orgoglio, talmente tanto che sembrava stesse per scoppiare.
“Allora?! Quanti punti esperienza?!” domandò, rivolgendosi a nessuno in particolare.
Gli altri ci stavano facendo l’abitudine e lo ignorarono. Owin si era già precipitato sui corpi e li frugava con foga. Come se qualcuno di loro custodisse l’antidoto di un veleno appena ingurgitato.
“Guarda!” esclamò esultante sollevando una spada lucidissima. “Deve essere magica!”
“Cosa te lo fa pensare?” domandò Feloniel.
“Per il fatto che non riesco ad indentificarla!”
“Come sarebbe non riesci ad identificarla? E’ una spada.”
“Si, ma non ne ho mai viste di simili, e poi brilla!”
Feloniel non cedette. “Riverbera la luce del fuoco”
“E’ lucidissima!”
“Mai sentito parlare di manutenzione delle armi?”
“Eddai! Che ti costa?!”
Feloniel sospirò. Prese l’arma e pronunciò alcuni sussurri in una lingua incomprensibile. I suoi occhi divennero luminosi e lei osservo attentamente l’arma.
“Effettivamente hai ragione” ammise l’elfo “E’ magica, ti permette di colpire i nemici con più facilità”.
“E come funziona?” domandò lo gnomo tutto contento.
“Hem… ti… permette di colpire più facilmente.”
Lo gnomo sembrò accontentarsi della risposta, riprese felice l’arma e la ripose con cura nello zaino.
Il nano lo osservò meravigliato. “Un giorno mi spiegherai come fai a far stare in quel piccolo zaino oggetti così grossi, e soprattutto come mai quello zaino scompare ogni volta dopo che l’hai utilizzato”
“Segreti professionali” rispose maliziosamente lo gnomo e concluse il discorso con un grosso sorriso.
Dopo essersi assicurati che non c’era altro da prendere i quattro riaccesero la torcia e ripresero il cammino per i lunghi corridoi. Erano in quei sotterranei da ore e ancora non avevano raggiunto il luogo dove riposavano i resti del grande Boscunnar. Allo gnomo sorsero molte altre domande sull’architettura del luogo, ma preferì lasciar perdere. Giunti all’imboccatura di un passaggio videro qualcosa che attirò la loro attenzione. In fondo al piccolo corridoio c’era una stanza apparentemente vuota, salvo per un leggio che reggeva un grosso tomo.
Ci fu una piccola discussione sul fatto che fosse e meno il caso di avvicinarsi, ma la curiosità ebbe la meglio; dopotutto stavano girando per corridoi spogli da ore e si sarebbero messi a seguire anche un topo pur di avere la parvenza di andare da qualche parte.
Avvicinandosi alla stanza si accorsero che era esattamente come sembrava: un locale vuoto al centro del quale si trovava un leggio in ferro battuto incrostato di ruggine.
Owin si avvicinò e si alzò sulla punta dei piedi per cercare di leggere il libro. “Ha delle scritte strane, non riesco a leggerle.”
“Perché sono rune magiche, solo un mago è in grado di leggerle” spiegò pazientemente Feloniel.
Lo gnomo continuò a guardarla con espressione ebete in faccia, senza dire una parola.
Lei attese qualche istante in attesa dell’eventuale domanda, ma visto che la situazione non mutò per quasi un minuto domandò esasperata: “Che c’è?!”
“Dimmi cosa c’è scritto!”
“Te l’ho detto, rune magiche!”
“Leggile! Sei un mago!”
Banedon intanto stava esplorando la stanza alla ricerca di qualcos’altro di una qualche utilità, come ad esempio una grossa mappa con un puntino rosso che dicesse “Voi siete qui!”.
Feloniel sospirò e si mise a studiare il tomo. Owin e Tordeck la osservavano in attesa.
“E’ un incantesimo di qualche tipo, non riesco a capire cosa faccia” ammise l’elfo.
“Beh, leggilo e scopriamolo” disse pragmaticamente il nano.
L’elfo inarcò il lungo sopracciglio. “Potrebbe essere pericoloso”
“Più pericoloso di vagare qui sotto per l’eternità pur di non ammettere che ci siamo persi?” domandò lo gnomo.
Feloniel si morse il labbro e cedette. Impostò la voce e recitò a voce alta: “Amendal sovartes…”
“Perché lo pronunci con quella voce strana?” intervenne lo gnomo.
“Beh per… perché è un incantesimo…”
“E per recitare un incantesimo bisogna fingere di essere un cantante lirico?”
L’elfo guardò il nano e sembrò leggere nei suoi occhi la stessa curiosità. “Beh…”, balbettò.
“Magari funzionano lo stesso se li leggi normalmente, hai mai provato?”
“Senti” disse spazientita Feloniel, “Si tratta di cose magiche che non puoi capire. La magia è troppo complessa per te.” Senza attendere una nuova risposta, di nuovo con voce impostata, pronunciò ad alta voce l’incantesimo.
Davanti alla porta comparve un campo di forza luminoso e nella stanza echeggiò una risata malefica.
“Ecco! Lo sapevo! Era una trappola!” sbraitò l’elfo.
Lo gnomo si fece prendere dal panico. “Se lo sapevi perché non l’hai detto?!”
“Ci penso io” disse il barbaro e si mise a correre puntando la porta magica, pronto a sfondarla con una spallata.
Vinse la porta. Il barbaro si accasciò a terra privo di sensi.
Dal libro iniziò a salire una pallida nebbiolina che si diffondeva nella stanza.
“Non respirate! Deve essere un gas malefico!” avvertì l’elfo.
Il nano era l’unico tranquillo, aveva accolto la situazione con un espressione sul volto che voleva dire inequivocabilmente “Prima o poi doveva succedere”.
“Non respirate… ottimo. Altre grandi idee?” disse poggiandosi sopra l’ascia con le braccia conserte.
Owin tastava freneticamente le pareti della stanza in cerca di una via di fuga.
Ben presto la vista di tutti iniziò ad appannarsi e le loro palpebre divennero pesanti. Tordeck fu il primo a cedere. Dopo pochi minuti cadde a terra russando, sul volto l’espressione serafica di un bimbo nella sua culla. Un bimbo con la barba.
Owin si accasciò contro un muro e Feloniel tentò ripetutamente di infrangere o dissolvere la barriera magica, senza successo. In poco tempo cadde sotto la morsa dell’incantesimo.
Tordeck si trovò improvvisamente davanti a sua madre. Come al solito gli stava facendo le sue lunghissime raccomandazioni.
“Ricordati di pettinare la barba, metti in ordine i tuoi giocattoli da fabbro quando hai finito, affila la tua ascia ogni mercoledì e io ti torturerò fino a farti sputare le budella…”
Il nano, come quando era giovane, annuiva senza ascoltare, ma quell’ultima affermazione lo colse alla sprovvista.
“Cosa?”
“… e quando avrò finito con te riserverò lo stesso trattamento a tutti i tuoi amici…”
Il nano era sempre più sconvolto. “Mamma, calmati, se è perché ho usato il tuo coltello di depilazione per andare a caccia guarda che non…”
“…quando finalmente saranno tutti morti potrò finalmente mettere in atto il mio piano di conquista del mondo!”
L’inconscio di Tordeck si ribellò alle immagini e la sua mente ricordò che la madre era morta anni prima. Il sogno si interruppe bruscamente e il nano spalancò gli occhi.
Si trovò legato ad una colonna in una stanza gigantesca. Il soffitto, retto da altre colonne disposte ordinatamente nella stanza, svettava a più di cinque metri sopra la sua testa. Delle torce appese ai muri proiettavano la loro luce lampeggiante nell’oscurità. Al centro della stanza uno scheletro con indosso abiti regali, ormai ridotti in stracci, proseguiva il discorso iniziato da sua madre.
“… Tutti i re del mondo dovranno piegarsi al mio infinito potere e io riserverò loro lo stesso trattamento che essi riservarono a me…”
“Bentornato!”
Tordeck riconobbe la voce squillante di Owin, si voltò e vide che lo gnomo era legato alla colonna accanto alla sua. Dall’altra parte, di fronte a sè, vide Feloniel già sveglia, con accanto Banedon ancora addormentato. Tutti prigionieri.
“Cos’è successo?” domandò il nano.
“Ci hanno fatto prigionieri” spiegò lo gnomo servizievole.
“E chi è quello?” accennò con la testa allo scheletro che continuava a parlare senza curarsi di essere ascoltato.
“Nientemeno che il grande Bultanner in persona.”
“Bultanner?”
Owin ci riprovò: “Bovinnor”
“Ma non era morto?”
“Apparentemente no, ha lanciato qualche incantesimo e ora si è trasformato in un Lich”
Il nano annuì con poca convinzione, non del tutto sicuro di avere compreso.
“Ma cosa sta facendo?”
“Ah boh. Quando mi sono svegliato io andava avanti e indietro per la stanza mugugnando qualcosa, poi quando si è svegliata anche Feloniel si è accorto che stavamo riprendendo i sensi e ha cominciato a parlare”
“Quanto tempo fa?”
“Credo una quindicina di minuti”
“E Banedon non si è ancora ripreso?”
“Oh no, si è ripreso, circa dieci minuti fa, ma il discorso interminabile l’ha stecchito di nuovo”
La voce acuta di Feloniel interruppe lo scheletro ed echeggiò nella stanza. “Non riuscirai mai nei tuoi intenti! Se non saremo noi ti fermerà qualcun altro!”.
Owin e Tordeck rimasero sbalorditi del fatto che l’amica stesse davvero ascoltando.
Il lich si voltò infastidito, ma il sorriso naturale del teschio sembrò allungarsi: “Ha! Ma cosa puoi saperne tu, stupido mortale!”.
Il modo pessimo in cui pronunciò quella frase lasciò intendere che se l’era preparata e probabilmente non vedeva l’ora che qualcuno lo interrompesse per pronunciarla.
Feloniel lo guardò con odio e cercò di strattonare le corde, ma non riuscì a liberarsi.
Il lich allargò le braccia e aprì la bocca. Poi le richiuse, insieme alla bocca. Guardò a terra e guardò il soffitto, battendosi il dito scheletrico sul mento. Si grattò il teschio e iniziò a mugugnare scandendo il ritmo con la mano.
Owin gli venne in soccorso: “… e quando finalmente avrò tutti i diavoli dell’inferno al mio servizio inizierò…”
“Oh! Si!” esclamò il lich esultante “…e quando finalmente avrò tutti i diavoli dell’inferno al mio servizio io inizierò la conquista delle terre di confine! Tutti si piegheranno alla volontà del grande Bontarren!”
Una volta ripreso il discorso lo scheletro smise di prestargli attenzione, tutto preso nel suo momento di gloria.
Tordeck fissava Feloniel affascinato, incapace di ammettere che qualcuno potesse davvero ascoltare quella noiosissima autocelebrazione.
“Fatto!” bisbigliò Owin. Le corde che lo legavano alla colonna si afflosciarono a terra e lui balzò avanti.
“Come ci sei riuscito?” domandò il nano meravigliato.
“Segreto professionale!” ripetè lo gnomo divertito.
Si portò dietro la colonna del nano e ne sciolse le corde. Senza far caso allo scheletro andò a prestare i suoi servigi anche a Feloniel e Banedon; il barbaro spalancò la bocca e si abbandonò ad un possente sbadiglio, come un leone dopo un pisolino pomeridiano.
Lo scheletro dava loro le spalle e gesticolava in direzione di inesistenti balconate di spettatori.
“Lo attacchiamo?” domandò Tordeck.
“Meglio essere prudenti, non conosciamo ancora il suo potere e voi non avete le vostre armi” rispose l’elfo.
Il barbaro si stiracchiò, stropicciandosi gli occhi.
“Guardate! Ecco le nostre armi!” esclamò Owin.
Effettivamente tutti i loro averi erano ammucchiati su di un piccolo altare poco distante il Lich.
Feloniel era dubbiosa. “Si accorgerebbe di noi ancora prima che riuscissimo ad avvicinarci”
“Dici davvero?” domandò scettico lo gnomo, indicando lo scheletro mentre, con enfasi, si metteva in posa per indicare come un giorno avrebbero costruito le sue statue.
“Io sono d’accordo con il piccoletto” ammise il nano.
Feloniel guardò Banedon in attesa della sua opinione. L’umano stava facendo mente locale, per capire dove si trovava e cosa stava succedendo. Dopo un attento esame sollevò le spalle e si limitò a dire: “Round di sorpresa”.
In un veloce consiglio fatto di sguardi, i compagni interpretarono quella risposta come un assenso.
Owin fu il primo a muoversi e in pochi passi raggiunse le armi. Si chinò nascondendosi dietro il piccolo altare. A pochi metri di distanza il lich stava torturando un re immaginario, di un non precisato regno, con un’invisibile frusta.
Feloniel rimase a distanza e si nascose dietro una colonna. Banedon avanzò a passo di ballerina (era la sua idea di passo silenzioso) verso le armi. Tordeck fissava il pavimento e i suoi piedi come se fossero i suoi peggiori nemici.
Fece un passo avanti e il rumore dei pesanti schinieri non tardò a materializzarsi. Lo gnomo gli faceva segno di sbrigarsi ad andare verso di loro. Tordeck fece un profondo respiro e si mise a correre. Questa volta lo scheletro sentì il ferragliare dei passi e si voltò di scatto. Infuriato, le sue cavità oculari si incendiarono di una luce rossa e dalle sue mani partirono dei fulmini azzurri che colpirono il nano scagliandolo lontano.
Owin fece in tempo a raccogliere i pugnali allungando le mani sopra la testa. Banedon impugnò il pesante spadone e lanciò l’ascia verso il centro della stanza, Feloniel gesticolò e creò uno scudo magico sul barbaro per proteggerlo.
“Perché diavolo ti sei messo a correre?!” urlò Owin.
Tordeck tremava ancora per la scarica elettrica. “Me…me l’ave..ave…vi… dededetto..to tu!”
“Ti avevo solo detto di sbrigarti!”
Lo scheletro sollevò le braccia al cielo e svanì nel nulla. La sua voce echeggiò per tutta la stanza. “Stupidi mortali! Non è cambiato nulla! Avete solo anticipato la vostra fine!”
“Siano ringraziati gli dei!” disse Owin “Temevo che volesse nascondersi per ricominciare a parlare!”
Feloniel estrasse alcuni reagenti magici e li lanciò in aria sussurrando qualcosa. Questi brillarono mentre si depositavano a terra e sopra di lei.
Il barbaro fendeva l’aria davanti a sé con colpi furiosi. “Fatti vedere codardo!”
La risata echeggiò di nuovo nella stanza. Tordeck nel frattempo aveva raccolto l’ascia e si era alzato faticosamente in piedi.
“O almeno dicci dove hai nascosto i tuoi tesori” propose diplomaticamente Owin.
“Che cosa vuoi da noi?!” domandò Feloniel.
Il silenzio della cripta mutò per qualche istante, da mortale divenne imbarazzante.
“Ve l’ho già detto!” disse con voce offesa lo scheletro.
Tordeck sorrise. “Ha! Lo sapevo che non potevi averlo ascoltato sul serio!”
Banedon nel frattempo avanzava continuando la sua lotta serrata contro l’aria.
“L’unica cosa che voglio è la vostra vita!” urlò indignato il Lich.
Owin allungò la testa e sbirciò da sopra l’altare. “Suvvia, dovrai pure voler qualcosa da noi, non ci avrai mica risparmiati mentre eravamo incoscienti solo per farci sentire il tuo discorso”
Di nuovo tornò il silenzio imbarazzante.
“Avete idea di cosa significhi progettare per secoli la conquista del mondo senza nessuno con cui parlare? Senza nessuno che ti dica - Accidenti! Che piano geniale! - oppure - Dannazione! Mi hai sconfitto! -
Forse credete che io non abbia un cuore solo perché potete vedermi attraverso il costato?! Anche a me ogni tanto piacerebbe avere qualche piccola soddisfazione. A che serve uccidervi nel sonno se non saprete mai chi è la mente geniale che vi ha sconfitto e perché l’ha fatto?!
Credete forse che potrò avere soddisfazione quando tutto il mondo sarà ai miei piedi e saranno tutti morti?! NO! E’ ovvio che le soddifazioni devo prendermele lungo il tragitto!”
La crisi di nervi del Lich proseguì e sfogò in un colpo solo secoli di sofferenze represse. Quel grande successo nel campo della psicanalisi tuttavia non bastò ad accontentare gli avventurieri.
Ad un tratto la voce dello scheletro si interruppe e così il suo piagnisteo.
Ognuno era ormai tanto confuso da quell’insolito signore del male che non si sarebbero stupiti di vederlo ricomparire con un trenino di elefanti da circo. La realtà fu molto più inquietante.
Il lich apparì alle spalle di Feloniel e puntò alla sua testa un dito scheletrico che brillava di magia.
La sua voce risuonò terribile come una campana da morto e disse: “Scacco matto.”
Un raggio di fuoco partì dal vertice del suo dito e trapassò il cranio dell’elfo fuoriuscendo dalla sua fronte. Lo sguardo sbalordito della donna si pietrificò nella rigidità della morte.
Gli altri si voltarono di scatto ma ormai era troppo tardi. La terribile risata del lich risuonò per l’ennesima volta, più inquietante che mai. Almeno finché non si interruppe.
Lo fece bruscamente. La mascella del teschio si richiuse e le sue orbite vuote si inchiodarono sul corpo di Feloniel. Era ancora in piedi, immobile.
Lo scheletro fece per agguantarla e la sua mano ci passò attraverso. Il corpo della donna svanì come se fosse stato impresso nell’aria.
“Avresti potuto usare tutti quei secoli per imparare a giocare a scacchi”
Lo scheletro si voltò verso quella voce, ma era troppo tardi. Un’ondata di luce lo travolse e il boato di un’esplosione fece vibrare le pareti della stanza.
Una pioggia di ossa mezze carbonizzate investì Owin. Lo gnomo fuggì riparandosi dietro una colonna. Feloniel apparve da un punto scuro della stanza, le sue mani emettevano un leggero bagliore che stava affievolendosi. Sul volto aveva un sorriso sornione.
Tordeck fece un sospiro di sollievo. “Sei viva! Accidenti a te, mi hai fatto prendere un colpo!”
Banedon rinfoderò la spada e compiaciuto disse: “Bene, ora cerchiamo il tesoro!”
Owin saltò fuori dal suo nascondiglio e corse in direzione di un sarcofago semi nascosto in fondo alla stanza. “Secondo me è laggiù!”, urlò.
Feloniel e Tordeck si avvicinarono al piccolo altare. Ai suoi piedi giaceva il teschio fratturato del lich, dove era stato scagliato dall’incantesimo.
La mandibola scheletrica si mosse ancora una volta: “Siete solo dei poveri illusi. Non avete ottenuto nulla.”
Lo gnomo e il barbaro raggiunsero il sarcofago e lo aprirono con fatica. I secoli lo avevano sigillato e un odore fetido li assalì non appena smosso il coperchio. Guardarono all’interno e videro solo una piccola scatoletta.
“E’ quello il tesoro?” domandò scettico Banedon.
“Effettivamente mi aspettavo qualcosa di più… voluminoso…” ammise lo gnomo. “Ma magari contiene pietre preziose, dovremmo aprirlo”
Il piccolo gnomo raccolse il contenitore e provò ad aprirlo, ma senza risultato. La sua forza non era sufficiente.
“Lascia fare a me…” disse il barbaro.
“Illuminaci, scheletro. O forse, ormai, dovrei dire teschio. Per quale motivo credi che abbiamo fallito nel nostro intento” disse sarcastica Feloniel.
“Mi raccomando, sii breve…” puntualizzò Tordeck.
“Io non posso essere sconfitto. Fintanto che il mio filatterio rimane integro voi non potete…”
Un tonfo sordo echeggiò nella stanza.
Feloniel e Tordeck guardarono in direzione degli altri due e videro che osservavano minuziosamente i frammenti di qualcosa che avevano distrutto a terra.
Le cavità oculari del teschio parvero perdere espressività. “Vi odio…” annunciò con voce inespressiva. Poi la mandibola si serrò per l’ultima volta.
“Hey! Qui non c’è alcun tesoro!” esclamò Owin con disappunto.
“Il fatto di avere salvato il mondo non ti basta?” domandò Feloniel a voce alta per farsi sentire.
“Starai scherzando spero?!”
Tordeck si lisciò la barba con la grossa mano callosa. “Eppure è strano, la pergamena che abbiamo trovato parlava distintamente di un grandissimo tesoro nascosto nelle profondità della terra. Sotto la tomba del grande Buvtanner”
“Bulmannin” corresse il teschio. Tutti lo fissarono, ma non si mosse ulteriormente.
Feloniel alzò le spalle. “Qualcuno sarà arrivato prima di noi e se lo sarà portato via”
“C’è qualcosa qui!” esclamò Banedon. Il barbaro fece scivolare le dita all’interno del sacrofago e si sentì un leggero click.
Il pavimento dove si trovavano Feloniel e Tordeck iniziò a vibrare. L’altare si mosse e con dei rumori assordanti la pesante roccia si spostatò di qualche metro, trascinando con sè il teschio senza vita del Lich. Al di sotto, una lunga scalinata si perdeva nell’oscurità.
Owin esultò. “Yahooo! Sembra che ci sia ancora speranza per il tesoro!”
“Si, però ormai è tardi, continuiamo la prossima volta.” disse Banedon.
“Concordo” ammise Feloniel, che inspiegabilmente aveva assunto una voce maschile.
Quella di Owin divenne femminile e disse: “Ci accampiamo qui e continuiamo la prossima volta?”
“Va bene” concordò la voce di Tordeck, improvvisamente meno profonda.
Il tempo si fermò e tutto divenne immobile. Il mondo intero sembrò pietrificarsi e le figure intorno agli avventurieri assunsero l’aspetto confuso di semplici scarabocchi sulla carta.
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Complimenti bellissimo