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13. Il piccolo grande Gnomo – Francesco Del Negro

All’ufficio postale della città di Carisma c’era sempre un po’ di coda; ma mai come quel lunedì mattina, allo sportello delle spedizioni. Una signora stava tentando d’inoltrare una busta, però aveva qualche difficoltà a comunicare con l’impiegato: – Non riesco a capirla! – gli diceva con veemenza.
– Ordinaria posta per oppure raccomandata posta per spedirla vuole? – ripeteva lo gnomo dietro il bancone.
– Non capisco! – gridava la cliente, con il proprio cappello a punta che ondeggiava a destra e sinistra. – Può venire qualcuno ad aiutarci? – domandò poi, volgendo lo sguardo intorno.
– Corto! – chiamò a voce alta la direttrice dell’ufficio, avvicinandosi in gran fretta; l’interessato mostrò una smorfia di disgusto, sentendosi risentito per essere stato nominato: non gli era mai piaciuto quel nome. – Si può sapere che problema c’è stamattina? – gli chiese la dirigente.
– Capire farmi riesco non ma, signora questa con spiegarmi di cercando sto – rispose il dipendente.
– Corto! – esclamò la direttrice. – Ma come parli? Non si capisce niente!
– Spiegarle di cercando sto… – fu subito interrotto.
– Lascia stare, Corto – lo fermò la gnoma, spazzando l’aria avanti a sé con le sue piccole mani. – Le chiedo scusa, signora – disse poi alla cliente. – Le mando subito un altro impiegato.
– Direttrice signora, dispiace mi… – provò a dire Corto.
– Stai zitto, e vai a farti visitare da un dottore – gli ordinò lei. – E non tornare in ufficio finché non starai bene.
Mortificato per la figuraccia, e soprattutto per essere stato cacciato dal lavoro, Corto prese la sua piccola giacca rossa e il cappello verde, poi uscì in strada. Si diresse verso casa, anziché andare dal medico come gli era stato comandato, poiché lui conosceva bene il motivo del proprio disturbo: era tutta colpa della sua ultima invenzione. Quando aveva infilato la testa sotto il casco e avviato la macchina, la sera prima, l’effetto non era stato quello previsto. Da quel momento, aveva sempre parlato alla rovescia. Evitando di parlare, era riuscito a non farsi scoprire dai familiari, la mattina durante la colazione; ma, una volta arrivato al lavoro, rimanere sempre in silenzio era impossibile.
Corto lavorava come impiegato all’ufficio postale di Carisma ma, oltre a quello, coltivava una passione per le scienze, e si divertiva nel tempo libero a costruire macchinari e congegni di vario genere. Il suo progetto principale era fabbricare un marchingegno capace di trasformare gli gnomi in uomini.
Gli era capitato di vedere più di qualche uomo, aggirandosi nella Grande Foresta che separava il suo mondo da quello degli umani. Nel confronto, si era sempre sentito avvilito: l’invidia gli aveva morso le viscere, vedendo quanto erano alti e fieri gli uomini, e quanto invece si sentiva piccolo e sgraziato lui stesso, nel limite dei suoi quaranta centimetri. Così, aveva deciso da anni di applicarsi con tutto il proprio ingegno per costruire la propria macchina migliore: un apparato capace di far di lui un uomo; e non soltanto lui: anche la moglie Irma, i figli Nemo e Ulisse, e tutti gli altri abitanti del suo mondo, in modo che nessuno dovesse più conoscere l’umiliazione della piccolezza.
Il vero, grande problema di Corto non era la mancanza di fantasia o d’iniziativa, bensì la carenza di genio: infatti, nessuna delle sue invenzioni funzionava secondo le sue aspettative. Ogni qual volta terminava di fabbricare qualche nuova apparecchiatura o strumento, esso svolgeva certamente una funzione, ma non si trattava di quella desiderata. La prima invenzione prodotta nel suo laboratorio privato era una pistola che, in teoria, avrebbe dovuto realizzare il suo desiderio di diventare uomo; invece, riusciva solo ad annullare gli effetti delle allergie. Dopo di quella, era venuta la cabina che rendeva mani e piedi visibili al buio, con grande spavento per sua moglie Irma; e, infine, il casco che faceva parlare al contrario. Tuttavia, gli insuccessi non riuscivano a scoraggiarlo tanto da spingerlo a rinunciare al suo progetto: un giorno, Corto sarebbe diventato un uomo, e avrebbe liberato tutti i suoi simili dal peso di essere piccoli!

Giunto nella propria modesta dimora, una casetta singola a tre piani con giardino, il tetto spiovente di paglia e le finestre rotonde, Corto entrò dall’ingresso sul retro. Levò la giacca, e si guardò d’istinto allo specchio: come si poteva portare rispetto a uno gnomo alto quaranta centimetri, un po’ curvo, con un grosso naso rosso e le braccia che arrivavano a malapena al sedere?
Si avvicinò di soppiatto alle scale, sperando di riuscire a salire senza incontrare la moglie.
– Corto! – chiamò Irma, sopraggiungendo dalla cucina. – Sei tu?
Il padrone di casa provò un dolore al petto, sentendosi chiamare per nome: non potevano chiamarlo tutti semplicemente “Signor De Piccoli”? Certo, non poteva aspettarsi questo dai componenti della propria famiglia; però, la moglie poteva sempre chiamarlo “caro” o “tesoro”…
La consorte lo guardava con curiosità e sospetto. – Che cosa ti prende? Perché sei entrato dal retro?
Corto la guardò truce: non voleva rendere evidente il proprio fallimento come scienziato. – Mmm… – mugugnò, mostrando un’espressione che voleva essere eloquente. – Bagno – disse poi, accennando alle scale con un cenno del capo. Fin lì, tutto bene: non era possibile invertire una frase composta di una parola soltanto.
– Bagno? – fece lei. – Ma come parli? Si può sapere che cosa ti succede?
Il marito sentì la frustrazione crescere dentro di sé e tradursi in rabbia. – Bene parlare a riesco non! – sbottò in faccia a Irma.
– Corto! – lo chiamò a voce alta, con sguardo severo. – Hai giocato ancora al piccolo chimico, lì nel tuo laboratorio?
– Io, no… – provò a dire lui.
– Io no, io no – gli fece il verso. – Non vedi come ti sei combinato? Avevi promesso di stare più attento, dopo quella volta che mi hai spaventato con le mani e i piedi fosforescenti.
– Dispiace mi…
– Ci credo che ti dispiace. Chissà che paternale ti avrà fatto la tua direttrice! – Gli puntò il dito contro. – Adesso torna nel tuo maledetto laboratorio, e non uscirne finché non riuscirai a parlare normalmente. Non voglio che mi spaventi i bambini. E’ chiaro?
– Bene va – rispose lui, mogio. Davanti agli occhi adirati della moglie, salì le scale e si recò nel sottotetto, dove aveva insediato il proprio laboratorio. Il suo umore era pessimo: non aveva la minima idea di come invertire gli effetti del casco.
Entrando nel piccolo studio in solaio, si trovò circondato dai suoi attrezzi, parti di macchinari e le proprie invenzioni malfunzionanti. Sedette sulla seggiola, disperato: non conosceva un modo per riprendere a parlare normalmente; a parte il tempo. In generale, l’effetto delle sue invenzioni svaniva dopo circa ventiquattro ore. Si trattava solo di aspettare.

Quella sera, all’ora di cena, Corto si presentò in sala da pranzo indossando la propria vestaglia preferita, tutta decorata con farfalline colorate. Trovò i figli, Nemo e Ulisse di sei e sette anni, già seduti a tavola, e Irma stava servendo la cena.
– Come va? – gli domandò la moglie.
– Meglio, grazie – rispose lui.
– Riesci a parlare normalmente adesso? – volle sapere.
– Sì, sì – disse lo gnomo.
Non soddisfatta da quella risposta, la consorte insistette: – Prova a dire “Moglie mia, ti amo tanto”.
Corto sollevò la propria zuppiera e dichiarò: – Ti amerò di più quando mi verserai la minestra nel piatto.
Contenta che il precedente problema fosse risolto, lei gli servì una porzione di zuppa.
– Papà – lo chiamò Nemo, il minore. – Che cosa fai, quando passi tanto tempo in soffitta?
– Non è una soffitta! – esclamò il capofamiglia, furioso; poi si corresse: – Cioè, è una specie di soffitta, ma attrezzata come laboratorio scientifico.
– Tu sei uno scienziato? – chiese Ulisse. – Credevo che facessi il postino.
Lo gnomo alzò gli occhi al basso soffitto e spiegò con tono cantilenante: – Lavoro all’ufficio postale, ma nel tempo libero mi occupo di scienze.
– E che cosa fai? – fu la domanda di Nemo.
– Non preoccupatevi, ragazzi – tagliò corto il padre. – Vedrete che, presto, sarete tutti molto orgogliosi di me.
Irma sbuffò, a quell’affermazione: non poteva impedire al marito di fare lo scienziato pazzo, ma temeva l’esito dei suoi esperimenti.

Tornato al lavoro senza scossoni il mattino seguente, Corto si applicò fin dal primo minuto per far bella figura con la sua direttrice. Ovviamente, voleva rimediare alla pessima immagine offerta il giorno precedente. Tuttavia, se materialmente si occupava di lettere e raccomandate, un angolino della sua mente lavorava senza sosta per tentare di risolvere il problema che più lo appassionava: come produrre il mutamento da gnomo a uomo. Infatti, il recente fallimento non lo aveva scoraggiato, anzi: si sentiva più che mai prossimo alla soluzione. Doveva solo trovare un elemento che gli mancava.
Finito il lavoro, tornò verso casa in gran fretta, perché voleva svolgere una commissione importante dopo il pranzo. Entrò nella piazza principale della città, dove sorgeva casa sua: dalla finestra della camera da letto, si vedevano la cattedrale e il municipio. Passando, notò un camioncino con degli operai che stavano issando uno striscione. Il Comune di Carisma stava organizzando i festeggiamenti per il millenario della propria fondazione, che sarebbe occorso dopo un paio di giorni.
Corto entrò in casa, e pranzò con la propria famiglia come di consueto. Parlò poco durante il pasto e, quando fu interpellato, rispose con dei monosillabi. Non vedeva l’ora di essere libero per dedicarsi al proprio progetto.
Terminato di mangiare, si avvicinò all’uscio con un’aria indifferente, mentre si apprestava a uscire.
– Corto! – lo chiamò Irma, avvicinandolo. – Dove stai andando?
Lo gnomo sentì bruciargli le viscere, udendo il proprio nome, ma simulò buon umore: – Cara, esco un momento a fare due passi – dichiarò.
– E dove pensi di andare? – inquisì la moglie, guardandolo di traverso.
– Ma non lo so – fece lui. – Starò qui nei paraggi. Perché?
Lei si girò e fece ritorno verso la cucina. – No, niente – rispose. Trovava strana quella passeggiata postprandiale del marito, ma non aveva argomenti per opporsi. – Buona camminata – gli augurò.
Contento di aver superato un possibile ostacolo, Corto prese la giacchetta rossa e uscì in piazza. Attraversò tutta la cittadina a gran velocità, fino alla periferia. Lasciò il centro urbano, e si addentrò nella Grande Foresta. La strategia creativa del piccolo scienziato era semplice: perché la sua prossima invenzione funzionasse, doveva procurarsi un campione di DNA umano. Una lacrima, una goccia di sudore, saliva, un capello: non aveva importanza, purché provenisse da un essere umano. Gli uomini frequentavano spesso la Grande Foresta, perciò non sarebbe stato troppo difficile procurarsi ciò che gli serviva.
Si addentrò tra gli alberi, sempre più fitti. A un tratto, presso una radura, udì delle voci. Guardò di nascosto di chi si trattava: era un gruppo di quattro uomini in tenuta da caccia, con tanto di fucili. La vista delle armi intimorì Corto, il quale però non abbandonò la propria ricerca: non poteva rincasare a mani vuote.
La fortuna venne in suo aiuto, poiché uno dei quattro uomini si allontanò dal gruppo, avendo la necessità di fare un bisognino. Lo gnomo lo seguì di soppiatto, e riuscì a tenerlo d’occhio, pure a distanza di sicurezza.
L’uomo si accomodò dietro un albero. Rimase lì alcuni istanti, poi ritornò con gli altri.
Corto si avvicinò all’albero in questione, gli girò intorno e trovò quello che cercava. A dire il vero, non fu proprio contento di quel ritrovamento: davanti a lui, in mezzo al fogliame, giaceva un bell’escremento fumante. Lo gnomo fece una smorfia: quanto puzzava! Ma quella era la sua unica occasione, e non poteva rinunciare. Prese dalla tasca un grosso fazzoletto, vi avvolse quanto aveva trovato e si avviò rapidamente verso la città a cuor contento: la sua missione era compiuta!

Rientrando in casa, Corto pose particolare attenzione a non fare rumore. La sua passeggiata era durata ben più del previsto, e sperava che la cosa passasse inosservata; ma non fu così fortunato.
– Corto! – lo chiamò Irma, scendendo le scale alla svelta. – Si può sapere dove sei stato?
Quel nome rimbombò dentro la testa dello gnomo come il regalo sbatacchiato dentro un uovo di Pasqua. – Te l’ho detto – le rispose. – Sono andato a fare due passi.
– Devi averne fatti duemila di passi, visto che sei stato fuori più di due ore – obiettò la moglie, arcigna.
– Cosa vuoi – le disse, allargando le braccia – quando cammini in rilassatezza, le gambe possono portarti dovunque.
– Che cos’hai lì in mano? – volle sapere lei, notando il grosso involto nella sua destra.
Lo gnomo fu svelto a infilare il fagottino in tasca. – Niente, è solo il fazzoletto.
– Ma che puzza! – esclamò Irma, mettendosi due dita sul naso. – Sei stato tu a farla?
– Scusami – fece il marito. – Mi sono fermato in un bar, e ho mangiato un panino con fagioli e cipolla.
– Fagioli e cipolla? – sbottò la consorte, con la faccia stravolta dallo stupore. – Tu vuoi morire giovane! – Si voltò verso la cucina. – Fammi andare ai fornelli, che comincio a preparare qualcosa per stasera. – Si allontanò nel corridoio, borbottando. – Fagioli e cipolla… che idea malsana!
Corto salì le scale a due gradini per volta, felice di averla fatta franca; un po’ meno per ciò che recava nella tasca della giacca. Entrò nel piccolo laboratorio, e si mise subito all’opera. Tirò fuori dalla libreria dei rotoli con i disegni di alcuni progetti, e li svolse sul suo tavolo da lavoro. Prese a studiarli con profonda attenzione. Questa volta, non doveva fallire!

La mattina seguente vide la signora Irma De Piccoli piuttosto turbata: al proprio risveglio, il marito non era nel letto matrimoniale insieme a lei. Il disappunto si fece largo nel suo cuore. Se il coniuge non si era coricato, poteva significare soltanto che aveva trascorso la notte nel suo antro misterioso, nonché interdetto a chiunque, situato nel sottotetto.
Si alzò dal letto con animo battagliero, pensando che quello non fosse il modo corretto di comportarsi. Aprì la porta e, con sua grande sorpresa, si trovò davanti il marito. – Oh… – disse. – Come mai non sei a letto?
Non potendo negare l’evidenza, Corto tentò di ammorbidire la propria posizione: – Ero di sopra, e mi sono addormentato seduto sulla sedia.
– Va bene – fece lei, rabbonita. Non lo riprese nemmeno perché era ancora vestito con giacca e scarpe dal giorno prima. – Stai attento che non capiti spesso. – Iniziò a scendere le scale. – Cosa fai, scendi a fare colazione? – gli domandò.
Lui indicò il bagno. – Faccio una doccia veloce e ti raggiungo. – Ciò detto, s’infilò nel servizio. Si lavò velocemente, poi indossò gli stessi vestiti di prima: non c’era tempo per andare a cambiarsi. Doveva assolutamente trovarsi in sala da pranzo prima che arrivassero i suoi figli. Infatti, tale era la sua sicurezza che la nuova invenzione avrebbe funzionato, che aveva deciso di applicarla direttamente su di loro: Nemo e Ulisse sarebbero stati i primi due umani in famiglia. Che grande onore!
Finito di vestirsi, scese di soppiatto fino al pianterreno, ed entrò in sala da pranzo. Sua moglie era in cucina a finire di preparare il pasto, ma le due tazze con il latte fumante per i bambini erano già sul tavolo. Lesto come un ladro, Corto prese dalla tasca due piccole capsule, e ne disciolse il contenuto nel liquido bianco, una in ogni tazza; appena in tempo, perché Nemo e Ulisse entrarono un momento dopo, ancora in pigiama.
– Ciao, papà – dissero in coro.
– Ciao, figlioli – rispose il padre, senza guardarli. Sedette al proprio posto e, dopo un minuto, arrivò la moglie, con il suo caffelatte e il pane tostato.
– Buon appetito – augurò Irma, sedendosi.
Iniziarono tutti a consumare il pasto più importante della giornata. Ognuno prese una fetta di pane e la imburrò, per poi inzupparla nella propria tazza. Mangiarono tutti con gusto. Al termine, la signora di casa iniziò a portar via i piatti vuoti, mentre i bambini finivano di bere il latte. Il capofamiglia rimase seduto a guardarli.
– Non ti prepari per andare a lavorare? – chiese a Corto la moglie, ferma sulla porta con i piatti in mano.
Lui annuì nervosamente. – Adesso vado – disse, ma non si alzò; continuò invece a fissare i figli.
Prima Ulisse, poi Nemo, finirono di bere, e lasciarono sul tavolo le tazze vuote. Corto li guardò con fervente curiosità: a quel punto, il preparato doveva aver compiuto la propria azione, eppure non si notava nessun cambiamento.
L’effetto si sentì quando Ulisse si alzò dalla sedia: contemporaneamente, fece un peto molto rumoroso. La medesima cosa capitò anche a Nemo un istante dopo, quando si mise in piedi. Allo stesso tempo, un fetore tremendo si diffuse nella stanza. I due fratellini si guardarono, allibiti.
– Che cosa è stato? – chiese la madre, tornando subito dalla cucina. Sentendo quell’odore, mostrò un’espressione di disgusto. – E che cos’è questa puzza terribile?
– Mamma, mi sento gonfio – le confessò Ulisse con profonda vergogna, tenendosi il pancino.
– Anch’io – fece Nemo, con lo sguardo sofferente; e subito, entrambi emisero un altro peto: i due piccoli erano in preda a un attacco acuto di meteorismo.
Irma si avvicinò ai ragazzini. – Venite qua – disse loro; nel frattempo, l’aria si era fatta irrespirabile. – Corto! Apri le finestre! – ordinò al marito, che collaborò immediatamente.
La madre portò i figli in cucina, e somministrò loro delle capsule di carboni attivi, due per ciascuno; poi tornò in salotto ad affrontare il coniuge. – Si può sapere che cosa gli hai fatto? – domandò.
– Chi, io? – fece lo gnomo, fingendosi sorpreso. Non perché non fosse sconvolto dallo stupore: non era certo quello l’effetto che si aspettava dal suo preparato. Qualcosa era indubbiamente andato storto.
– Non fare il finto tonto! – gli intimò Irma. – Sono sicurissima che c’è il tuo zampino in questo mal di pancia dei ragazzi.
Corto si allontanò per sottrarsi al confronto, con la scusa di dover andare al lavoro. – Non so di che cosa tu stia parlando.
Lei gli urlò dietro nel corridoio: – Se non la smetti di giocare allo stregone, chiederò il divorzio!
Lo gnomo uscì alla chetichella per recarsi all’ufficio postale. Passò per la piazza principale, trovando quasi tutto pronto per i festeggiamenti del millenario di Carisma: il palco per le autorità, i chioschi per il rinfresco, le luminarie, le bandiere colorate.
Proseguì verso l’ufficio, pensieroso. L’ultima affermazione di sua moglie lo preoccupava molto: non intendeva rinunciare al proprio progetto, ma come evitare altri passi falsi? Le sue invenzioni non funzionavano mai!
L’unica scelta ragionevole era di far passare un po’ di tempo, e studiare il problema più seriamente. Frattanto, si sarebbe dovuto calare nel ruolo domestico di marito e padre, premuroso e amorevole.

Nel giorno del millenario dalla fondazione, a Carisma, la piazza si presentava affollata già di prima mattina. Commessi dei chioschi, tecnici, giornalisti e personalità della pubblica amministrazione erano al lavoro per assicurare la buona riuscita dei festeggiamenti.
Alle nove e mezza arrivò la banda comunale al completo, e si sistemò nel bel mezzo della piazza. Guardando dall’alto della finestra in camera da letto, Corto poteva scorgere una gran quantità di gnomi indaffarati, e una moltitudine di copricapi, di tutte le forme e colori.
Quando furono tutti pronti, i coniugi De Piccoli uscirono insieme ai figli per assistere alla cerimonia ufficiale. Si trovarono un posto non troppo arretrato, per guardare sul palco da vicino. Videro il sindaco salire sulla pedana, seguito dal proprio vice e dai principali membri della Giunta Comunale.
Quando la banda ebbe terminato di suonare l’inno di Carisma, scemati gli applausi, il Primo Cittadino iniziò il proprio discorso. Parlò del grande onore di presiedere la cerimonia in quella particolare occasione, e ricordò il primo sindaco della città, insieme ad altri suoi predecessori illustri. Ricordò la storia del borgo, di come i primi gnomi si fossero rifugiati in quell’area uscendo dalla Grande Foresta per sfuggire agli umani che li cacciavano, mille anni prima. Per concludere, elencò i numerosi progetti che la municipalità stava elaborando in quei giorni per donare più lustro alla città.
Una volta che fu terminato il discorso, la banda prese a suonare altre canzoni locali, mentre sul palco iniziarono a esibirsi prestigiatori e giocolieri per intrattenere il pubblico. Il sindaco e la sua giunta si appartarono presso i chioschi per rinfrescarsi.
– Andiamo anche noi a prendere qualcosa? – suggerì la moglie a Corto.
– Senz’altro – fece lui, mostrando la strada.
La famigliola raggiunse un banchetto, e il capofamiglia ordinò per tutti: vino di prugna per i genitori e due bei gelati alla barbabietola per i bimbi.
I quattro avevano appena cominciato la consumazione, quando si udì un gran vociare proveniente dal chiosco dov’erano riunite le personalità.
– Si sente male? – esclamò una voce.
– Qualcuno chiami un medico! – gridò un altro gnomo.
Corto si avvicinò al punto da cui proveniva il trambusto. Vide un individuo disteso a terra, esanime: era il sindaco di Carisma in persona! Il suo vice e gli assessori cercavano di soccorrerlo, ma senza capire cos’avesse.
– Si è sentito male appena ha cominciato a bere il proprio aperitivo – riferì il vicesindaco al medico, appena arrivato.
– Che cosa c’era dentro? – chiese la moglie del sindaco, visibilmente allarmata.
– Vino di fragola, succo di ribes nero e spremuta di lampone – rispose il titolare del chiosco.
– Oddio, no! – esclamò la signora. – Mio marito è allergico al ribes nero!
– Ecco perché si è sentito male – spiegò il sanitario. – Se è allergico, può essere in preda a uno shock anafilattico!
Corto rimase molto colpito da quella scena. Per un sorso di aperitivo, il sindaco rischiava di morire. – Rimani qui con i bambini – disse alla moglie, girandosi verso casa propria.
– Dove vai? – volle sapere lei.
– Torno subito – le rispose, poi scomparve tra la folla.
Irma sarebbe voluta andare a vedere da vicino che cosa capitava, ma non voleva che i figli s’impressionassero; perciò, decise di rimanere nell’ignoranza.
Frattanto, il sindaco di Carisma non dava segni di vita. Giaceva svenuto tra le braccia della moglie, affranta e spaventata all’idea di perderlo. Il medico aveva ordinato che fosse chiamata un’ambulanza, ma la confusione causata dai festeggiamenti rallentava l’arrivo dei soccorsi.
All’improvviso, tra la gente, si fece avanti Corto, e si piazzò proprio di fronte al Primo Cittadino. Impugnava una pistola. Per un momento, tutti rimasero immobili a guardare quello gnomo armato, senza comprendere che cosa stesse accadendo; poi, Corto puntò lo strumento e fece fuoco. Un raggio luminoso investì in pieno il piccolo corpo del sindaco, che ne fu scosso visibilmente.
– Ma cosa fa? – chiese la moglie.
– E’ pazzo? – domandò il medico.
– Fermatelo! – gridò il vicesindaco.
Accorsero subito due guardie in uniforme, che bloccarono Corto e gli sottrassero la pistola. – Lei deve venire con noi – disse l’ufficiale.
– Aspettate! – ordinò il medico. – Si sta riprendendo!
Davanti agli occhi dei presenti, il sindaco si rianimò. Aprì gli occhi, e cominciò a muoversi. – Che cosa è successo? – domandò alla moglie.
– Oh, caro! – invocò lei. – Hai avuto una crisi allergica per via del ribes nero nell’aperitivo, poi quello gnomo – indicò Corto – ti ha sparato uno strano raggio luminoso, e ti sei sentito meglio.
– Raggio luminoso? – chiese lui, incredulo.
L’ufficiale che aveva fermato Corto accennò alla pistola, e gli domandò: – A cosa serve quella?
Corto si sentiva molto sotto pressione, considerato che era ancora tenuto fermo dalle guardie, e rispose con voce tremante: – E’ una pistola che serve ad annullare gli effetti delle allergie.
– E come se l’è procurata? – volle sapere l’agente.
– L’ho fabbricata io – ammise Corto. – Sono un inventore.
– Inventore? – ripeté il sindaco, alzandosi in piedi. – Lei è il mio salvatore! Lasciatelo! – ordinò alle guardie. – Questo gnomo non è un malfattore, bensì un eroe: mi ha salvato la vita!
Nel frattempo, la folla intorno aveva assistito a tutta la scena. Molti non capivano bene cos’era avvenuto, e si crearono opinioni contrastanti. Qualcuno pensava che si trattasse di un attentato alla vita del sindaco.
Il Primo Cittadino, comprendendo la difficile situazione, fece scortare Corto sul palco, e prese la parola per rilasciare un annuncio importante. – Signori, c’è stato un malaugurato incidente, ed io ho rischiato di morire; ma questo gnomo – indicò Corto – mi ha salvato la vita. – Gli avvicinò il microfono. – Dica, come si chiama?
Molto timidamente, l’altro rispose: – Il mio nome è Corto De Piccoli. – Non provò vergogna a presentarsi, tanto era profonda l’emozione di quei momenti.
A quel punto, prese la parola il vicesindaco: – Propongo di nominare il signor De Piccoli “Gnomo dell’anno”.
Dalla folla si levò un’ovazione: tutti erano d’accordo, e non ci fu alcun dubbio sull’opportunità di quella nomina.
Corto si sentì frastornato: non avrebbe mai creduto che una delle sue inutili invenzioni potesse portarlo a un tale successo in società.
Dalla platea, Irma e i due bambini sentivano il cuore colmo d’orgoglio e di commozione per quel risvolto, imprevisto ma ben accetto.
La piazza esplose in una festa senza precedenti, e Corto si trovò a essere acclamato come l’eroe del giorno. Le celebrazioni in suo onore si protrassero fino al tardo pomeriggio.
Verso sera, stanco ma molto felice, Corto ritornò a casa insieme ai propri familiari. Non si sentiva più mortificato nella propria condizione di gnomo; anzi, era estremamente appagato. Non desiderava più diventare un uomo, sentendosi già abbastanza fiero e importante come gnomo. Ciò nonostante, non avrebbe abbandonato le proprie ricerche scientifiche; al contrario, si sarebbe dedicato immediatamente al suo nuovo progetto: fabbricare un marchingegno per trasformare gli uomini in gnomi!

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Alessandro Zuddas

Alto, bello, forte, intelligente, affascinante, carismatico, sposta gli oggetti con il pensiero, sa volare, parla la lingua comune intergalattica ed è così dannatamente fantasioso che qualche volta confonde cioè che immagina con la realtà… diciamo spesso… anzi no! Praticamente sempre! A pensarci bene non è che sia così tanto alto, affascinante o tutte le altre doti prima esposte, ma a chi importa? Quando si possiede la capacità di creare un mondo perfetto o perfettamente sbagliato oppure ancora così realistico da poterlo sovrapporre alla realtà, perde di senso chi si è veramente e conta solo chi si desidera essere.

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