Le storie sono importanti, disse il mostro. Possono essere più importanti di qualsiasi altra cosa. Se portano con sé la verità.
Titolo: Sette minuti dopo la mezzanotte
Titolo originale: A Monster Calls
Autore: Patrick Ness – Siobhan Dowd
Illustratore: Jim Kay
Editore: Mondadori
Pagine: 222
Prezzo: Brossura 8,50€ – Copertina rigida 13,60€
Reperibilità: Più online che in libreria
Una notte di luna e brezza leggera, il piccolo Conor si sveglia di colpo sentendo bussare alla finestra della sua cameretta. Terrorizzato, allunga l’orecchio per cogliere qualche rumore sospetto dal piano di sotto. Nulla. Sono passati sette minuti dalla mezzanotte. D’un tratto, sente chiamare il suo nome…
Conor è preso dal panico: potrebbe essere l’apparizione spaventosa che da giorni lo tormenta nel sonno, l’incubo che viene a trovarlo da quando sua madre ha iniziato le cure mediche. Invece, quando si fa coraggio e si sporge dalla finestra, trova ad attenderlo un mostro. Un mostro tutto particolare, però, senza artigli o denti aguzzi. È semplicemente un albero. Antico e selvaggio, una creatura che sembra uscita da un altro tempo.
Il mostro è pronto a stringere un patto con lui: nelle notti successive racconterà a Conor tre storie, di quelle che aiutano a uccidere i draghi che ognuno di noi nasconde nel fondo del proprio animo, storie che spingono ad affrontare le paure più grandi. Ma in cambio la creatura misteriosa vuole da lui una quarta storia, un racconto che deve contenere e proteggere la cosa più pericolosa di tutte: la verità.
Con la grazia struggente dei veri narratori, Patrick Ness dà vita a un romanzo sincero ed emozionante, che tocca il cuore del bambino che ognuno di noi è stato.
Cos’hai pensato?
«Lascia stare» disse Conor, tornando a voltarsi verso casa.
Hai pensato che forse sono venuto qui per aiutarti.
Il ragazzo si fermò.
Hai pensato che potrei essere venuto per sconfiggere i tuoi nemici. Sterminare i tuoi draghi.
Conor non si voltò. Ma neppure entrò in casa.
Hai capito che c’era del vero quando ho detto che tu mi hai chiamato, che eri tu la ragione per cui mi sono alzato a camminare e sono venuto. Non è così?
Conor si voltò. «Ma tu non vuoi far altro che raccontarmi delle storie» disse, e non riuscì a nascondere la delusione nella sua voce, perché era davvero così. L’aveva pensato. L’aveva sperato.
Il mostro s’inginocchiò e avvicinò il suo viso a quello di Conor. Storie che parlano di come ho sconfitto i nemici. Di come ho sterminato i draghi. Il ragazzo batté le palpebre.
Le storie sono creature selvagge e indomite, continuò il mostro. Quando le liberi, chi può sapere quali sconvolgimenti potranno compiere?
Regà qui si piange parecchio eh, io vi ho avvisato.
Ho scoperto questo romanzo qualche anno fa, mentre vagavo per il web. La trama mi colpì subito, e la frase che avete letto qui sopra, mi è rimasta impressa anche a distanza di tempo.
È molto difficile trovarlo in libreria ed è molto raro che io ordini un libro online, perché ho sempre avuto la strana convinzione che un libro “vada incontrato” e che debba essere lui a “venire da me”.
(Sì, è strano. Non fateci caso.)
Quindi ho continuato ad osservarlo da lontano, aspettando il “momento giusto”.
Un riassunto del “momento giusto” con questo romanzo
Un giorno, sempre in una delle mie scorribande per il web, svoltando un angolo di Goodreads tra Review Street e la Updates Avenue, ho visto due tipi loschi (senza offesa eh, per me sono tutti loschi) parlare di questo romanzo e del film che sarebbe uscito fra pochi mesi.
Panico.
Per me la parola “film” accostata a “libro” non è quasi mai un evento positivo. E la paura di “incontrare” questo romanzo vestito con la copertina buzzurra della locandina del film, mi ha spinta ad ordinarlo subito.
Tuttavia, ho voluto vedere il trailer.
Io durante il trailer
La mia reazione è stata la stessa sia prima che dopo aver letto il romanzo. A prima impressione e basandomi solo su quello che ho visto, i presupposti per un film degno ci sono, e di sicuro vedere il trailer non mi ha lasciata sconvolta come quello de La casa per ragazzi bambini speciali di Miss Peregrine. (QUI la recensione)
Magari lascerò un piccolo parere, dopo aver visto il film. Ma torniamo al romanzo.
Quando mi è stato chiesto se me la sentivo di portare a compimento il suo lavoro e farne un romanzo compiuto, ho esitato. Quello che non volevo fare – e che non avrei potuto fare – era scrivere un libro imitando la sua voce. Avrei reso un pessimo servigio alla scrittrice, al lettore e, cosa più grave di tutte, alla narrazione. Non credo che la letteratura di qualità possa mai funzionare a quel modo.
Il soggetto di questo romanzo era di Siobhan Dowd, una scrittrice morta nel 2007. Ci stava lavorando, ma non ha avuto il tempo di finirlo, quindi i suoi appunti sono passati nelle mani di Patrick Ness.
Penso che questa premessa sia molto bella, e sia importante leggerla, per iniziare questo libro con lo spirito giusto.
Mi sentivo – e mi sento ancora – come se mi fosse stato passato un testimone. Una scrittrice di grande talento mi donava la sua storia e mi diceva: “Va’. Corri, portala con te. Sconvolgi tutto”. Ed è questo che ho cercato di fare. In questo percorso ho seguito una sola regola: quella di scrivere un libro che, nelle mie speranze, sarebbe piaciuto a Siobhan. Nient’altro contava davvero.
E adesso è tempo che il testimone passi nelle vostre mani. Quale che sia l’inizio della corsa, le storie non si concludono mai con gli scrittori. Ecco quel che io e Siobhan abbiamo prodotto. Adesso andate. Correte, portatelo con voi.
Sconvolgete tutto.
«Sei un bravo ragazzo» ripeté ancora. «Vorrei che non dovessi essere tanto bravo.»
Questo è un romanzo che inizia più con i personaggi, che con la trama. Mi hanno colpito davvero tanto. Mai una frase scontata o uno stereotipo, personaggi imperfetti e pieni di incoerenza. Un’incoerenza positiva, che rende umani.
Il principe, frattanto, si era innamorato.
(«Lo sapevo» bofonchiò Conor. «In questo genere di storie ci sono sempre degli stupidi principi che s’innamorano.» Si mosse per tornare a casa. «Credevo che sarebbe stata una storia avvincente.»)
(Con un rapido movimento, il mostro abbrancò le caviglie del ragazzo con una mano lunga e forte e lo sollevò a testa in giù, trattenendolo a mezz’aria, la maglietta rivoltata, il cuore che gli pulsava nella testa.)
(Dunque, dicevo, fece il mostro.)
Conor è il nostro protagonista. È un personaggio cupo, di poche parole ma tanti pensieri.
Si sente solo, ma vuole essere lasciato in pace. Non vuole sentirsi invisibile, ma teme che qualcuno lo veda. Vuole, ma non vuole.
Non ha smesso di stupirmi fino alla fine e, ogni volta che pensavo di aver capito, subito dopo si scavava ancora più a fondo nell’animo umano. È stato doloroso, ma bellissimo.
Che hai detto? chiese il mostro.
Conor incrociò le braccia. «Ho detto: allora vieni a prendermi.»
Il mostro tacque un istante, poi con un ruggito batté due pugni sulla casa. Il soffitto si curvò sotto i colpi, ed enormi crepe apparvero sui muri. Il vento invase la stanza, l’aria rimbombò di muggiti furenti.
«Sbraita quanto ti pare» fece Conor, stringendosi nelle spalle e alzando appena un po’ la voce. «Ho visto di peggio.»
«Mi dispiace di non essermi alzata.»
«Tranquilla.»
«È solo questo nuovo ciclo di…»
«Tranquilla» ripeté il ragazzo.
La madre s’interruppe, ma continuò a sorridergli. Non si era ancora legata il foulard sul capo, e la testa calva sembrava troppo gracile, troppo delicata alla luce del mattino, come quella di un neonato. A quella vista Conor sentì una fitta allo stomaco.
Insieme a Conor, è l’altro personaggio che mi ha colpito profondamente. Essendo lui il protagonista, pensavo che il personaggio di sua madre sarebbe rimasto in secondo piano, quasi sullo sfondo. Invece, l’autore riesce a ritagliarle degli spazi, e a caratterizzarla con dei dialoghi semplici ma efficaci.
«Ecco il sorriso che io adoro» gli disse sua madre mentre afferrava il bollitore. Poi aggiunse, ostentando finto orrore: «Mi porterà alcune sue vecchie parrucche, ci credi?». Si carezzò la testa pelata con la mano libera. «Assomiglierò allo zombie di Margaret Thatcher.»
Non è una madre malata qualsiasi, è la madre di Conor; l’autore non parla del cancro con dei fantoccia a caso, ma parla di una persona precisa, con il cancro. E anche questo fa davvero male.
Quello che lei dice a suo figlio, in questa scena, non mi ha fatto commuovere, come capita spesso con i romanzi, con una patina di lacrime leggera che poi riaspiro subito e torno ad essere il solito mostro, no, questa scena mi ha fatto proprio piangere. Avete presente quei pianti profondi, che fanno quasi fatica a venire fuori? Con le lacrime che sembrano risalire da chissà dove? Ci sono delle scene che toccano le corde giuste per farti commuovere, e poi ci sono quelle che ti colpiscono e ti fanno risuonare come un gong. Quando il suono finisce, qualcosa accade sempre. Inoltre, ha rafforzato la mia idea matta che un libro venga da noi al momento giusto o, in questo caso, che noi andiamo da lui.
Spoiler«È normale che tu sia arrabbiato, tesoro. Davvero, è assolutamente normale.» Fece una risatina. «Sono parecchio arrabbiata anch’io, a dire la verità. Ma voglio che tu sappia una cosa, Conor, è importante che mi ascolti. Mi stai ascoltando, vero?»
Allungò di nuovo la mano. Dopo un momento, lui le lasciò stringere la propria, ma la presa era debole, debolissima.
«Cova tutta la rabbia che vuoi» gli disse. «Nessuno ha il diritto di impedirtelo. Né tua nonna, né tuo padre, nessuno. E se vuoi spaccare tutto, be’, diosanto, spaccalo come si deve.»
Non riusciva a guardarla. Non ci riusciva, punto.
«E se, un giorno» gli disse, piangendo davvero adesso «dovessi guardarti indietro e sentirti in colpa per tutta quest’ira, se dovessi sentirti in colpa per il fatto di essere così arrabbiato adesso, tanto da non riuscire neppure a parlarmi, io voglio che tu sappia, Conor, voglio che tu sappia che va bene, va bene. Che ho capito. Che lo capisco, d’accordo? Capisco, senza bisogno che tu lo dica, tutto quello che hai da dirmi, senza bisogno che tu lo dica a parole. Intesi?»
Ancora non riusciva a guardarla in faccia. Non riusciva ad alzare la testa, la sentiva pesantissima. Era piegato in due, come spezzato.
Ma annuì.
Eccolo, il mostro.
Appena Conor lo guardò, i rami più alti dell’albero si raccolsero a formare un grande volto terrificante, lo scintillio della bocca e di un naso e persino di due occhi che lo scrutavano di rimando. Altri rami si intrecciarono, fra altri cigolii e gemiti, finché non si formarono due lunghe braccia e una seconda gamba che si posò alla base del tronco. Il resto dell’albero divenne una spina dorsale, poi un busto, e le foglie sottili come spilli s’intesserono in un’irsuta pelle verde che si muoveva e respirava come se sotto ci fossero muscoli e polmoni.
Ecco l’elemento più caratteristico del romanzo, un mostro-albero gigante, che prima di allora aveva deciso di camminare ed intervenire solo tre volte. Oltre a quello che dice, mi è piaciuto soprattutto il distacco creato dall’autore. Il mostro è un’entità antica, ne ha viste tante, ha conosciuto tante persone. Sarebbe stato inverosimile che, dopo pochi incontri, diventasse l’amicone mattacchione del protagonista, come spesso accade nei film di animazione. L’autore riesce a rendere bene l’idea che il mostro sia solo un’entità di passaggio.
«E allora chi sei?»Ho avuto tanti nomi quanti sono gli anni di cui è fatto il tempo! ruggì il mostro. Io sono Herne il cacciatore. Io sono Cernunnos. Io sono l’eterno Uomo Verde.
Un grande braccio piombò roteando su Conor e lo ghermì, sollevandolo in aria, mentre il vento turbinava intorno, increspando furiosamente quella pelle frondosa.
Chi sono? ripeté il mostro, ancora con quel suo ruggito. Sono la spina dorsale su cui si reggono le montagne! Sono le lacrime piante dai fiumi! Sono i polmoni che soffiano il vento! Sono il lupo che sbrana il cervo, il falco che sgozza il topo, il ragno che mangia la mosca! Sono il cervo, il topo e la mosca che vengono divorati! Sono il serpente del mondo che morde la sua stessa coda! Sono tutto quello che è indomito e indomabile! Portò Conor vicino ai suoi occhi. Sono questa terra selvaggia, e sono venuto qui per te, Conor O’Malley.
Scacciava dalla mente i pensieri, ma quelli tornavano e doveva scacciarli via di nuovo. Alla fine doveva essersi appisolato, ma l’unica cosa che gli fece comprendere davvero di essersi addormentato fu l’arrivo dell’incubo.
Non l’albero. L’incubo.
Con il vento che ruggiva e il terreno che tremava e le mani che stringevano eppure chissà come gli sfuggivano, con lui che faceva ricorso a tutte le sue forze ma non bastavano, con la presa che cedeva, con la caduta, e le urla…
«NO!» gridò Conor, il terrore che lo seguiva nel risveglio, avvinghiato al suo petto così forte che il ragazzo si sentì come incapace di respirare, la gola stretta, gli occhi umidi.
L’Incubo è l’unica entità capace di spaventare Conor, l’unica che più di tutto ha paura di affrontare. Quando una trama è semplice, per un lettore è facile pensare che alcune cose si riveleranno scontate. E infatti io stessa mi sono fatta un’idea dell’Incubo sin da subito, ma l’autore non si è fermato a quello, è andato più a fondo anche in questo caso. Creando qualcosa di molto meno scontato.
SpoilerEra questo. Era questo l’incubo che lo svegliava ogni notte facendolo urlare. E accadeva davvero, proprio adesso, proprio qui.
Era sull’orlo del dirupo e si teneva forte, afferrando le mani della madre con tutte le sue forze, cercando di trattenerla mentre lei veniva trascinata giù nelle tenebre dalla creatura in fondo al precipizio.
Che adesso riusciva a vedere per intero.
Il vero mostro, quello di cui aveva davvero paura, quello che si sarebbe aspettato di trovare quando l’albero aveva fatto la sua prima comparsa, il mostro dell’incubo vero, fatto di fumo e cenere e cupe vampe fiammeggianti, ma con muscoli veri, vera forza, veri occhi rossi che lo fissavano e zanne scintillanti pronte a sbranare viva sua madre. Ho visto di peggio, aveva detto al tasso quella prima notte.
Ed eccolo, il peggio.
La nonna di Conor portava tailleur pantalone sartoriali, si tingeva i capelli, e diceva cose che non avevano alcun senso, tipo: “I sessanta sono i nuovi cinquanta” oppure: “Le auto classiche si meritano il lucido più costoso”. Ma che diamine significava? Inviava cartoline di auguri via e-mail, discuteva con i camerieri sul vino, e lavorava ancora. E casa sua era ancora peggio, stracolma di vecchia roba costosa che non si poteva toccare, come quell’orologio che la nonna non permetteva neppure di spolverare alla donna delle pulizie. E questa era un’altra cosa: che razza di nonna ha una donna delle pulizie?
La nonna di Conor è un personaggio che non si sforza di piacere al lettore. Fa quello che deve fare, dice quello che deve dire e poi va dove deve andare. Con lei l’autore ha voluto dimostrare, a modo suo, che a volte le persone non mostrano tutto quello che sono. A volte c’è dell’altro, e può essere una bella esperienza provare a scoprirlo.
Spoiler«Mi dispiace» disse lui, a bassa voce.
La nonna rise a quelle parole, un riso triste, forzato. Scosse il capo. «Non importa» fece. «Non importa.»
«Dici davvero?»
«Certo.» E riprese a piangere. Ma non era il tipo di nonna da permettere al pianto di intromettersi mentre parlava. «Sai una cosa, Conor?» fece. «Io e te… non siamo l’accoppiata più naturale, vero?»
«No. Credo di no.»
«Lo penso anch’io.» Prese una curva così stretta e veloce che il ragazzo dovette afferrare la maniglia della portiera per restare dritto.
«Ma dovremo farcela e ce la faremo, sai?» disse lei.
Conor deglutì. «Lo so.»
La nonna fece un piccolo singhiozzo. «Lo sai, vero? Certo che lo sai.»
Tossicchiò per raschiarsi la gola mentre guardava da entrambi i lati di un incrocio per poi tirare dritto al semaforo rosso. Conor si chiese che ora fosse. Non c’era quasi nessuna auto in circolazione.
«Ma sai una cosa, nipote?» proseguì la nonna. «Abbiamo qualcosa in comune.»
«Davvero?» L’ospedale pian piano appariva in fondo alla strada.
«Oh, sì» disse lei, pigiando ancora più forte sull’acceleratore, e il ragazzo vide che stava per piangere un’altra volta.
«Cosa?» domandò.
La nonna accostò nella prima piazzola libera vicino all’ospedale, piantandosi di botto contro il bordo del marciapiede.
«Tua madre» disse, guardandolo dritto in faccia. «Ecco cos’abbiamo in comune.»
Lui non disse nulla.
Ma comprese cosa intendeva. Quella che per lui era sua madre per lei era la figlia. Ed era per entrambi la persona più importante al mondo. Era una cosa immensa da avere in comune.
E di certo un punto da cui poter cominciare.
Il ragazzo fissò la finestra della casa. «Per quanto tempo ti fermi qui?» chiese. Aveva avuto paura di chiederlo fino a quel momento.
Suo padre si lasciò sfuggire un lungo sospiro, di quelli che lasciano presagire brutte notizie. «Solo qualche giorno, temo.»
Conor si voltò a guardarlo. «E basta?»
«Gli americani non hanno molte ferie.»
L’autore naturalmente non si è fermato al messaggio positivo del “Forse c’è dell’altro”; ha bilanciato la cosa dimostrando anche che a volte “Non c’è altro”. Non tutte le persone hanno qualcosa e, a volte, semplicemente, ci si rende conto che non sono niente di che ed è meglio lasciare che vadano per la loro strada.
Ce l’aveva con Lily perché…con chi altro poteva avercela?
Lei è forse il personaggio che mi è rimasto meno impresso. Ha un ruolo importante, eppure non riesce mai a spiccare davvero. L’autore spesso sembra non pensare troppo a lei, collocandola ogni volta in un posto diverso in classe, per poi dire che è sempre stata allo stesso banco da anni. Però, mi è piaciuto molto come viene raccontato il loro rapporto.
Amicizia tra Lily e Conor
Lui e Lily si conoscevano da sempre. O da quando arrivava a ricordare, che era praticamente lo stesso.
Le loro madri erano amiche da ancora prima che nascessero, e Lily era stata un po’ come una sorella che abitava in un’altra casa, specialmente quando una delle due mamme faceva da babysitter per l’altra. Lui e Lily erano stati soltanto amici però, non c’era niente di romantico, come dicevano a scuola per prenderli in giro. In un certo senso gli riusciva già difficile considerare Lily una femmina, o meglio, non una femmina come le altre ragazze della scuola. Come avrebbe potuto, se avevano interpretato insieme le pecorelle del presepe a cinque anni? Se lui sapeva come lei si scaccolava il naso? E se lei sapeva per quanto tempo lui aveva avuto bisogno di una lampada da notte dopo che suo padre se n’era andato? Era stata solo un’amicizia normalissima.
Ma poi c’era stato il “discorso” di sua madre, e quello che era accaduto dopo era stato semplice – davvero – e improvviso.
Nessuno aveva saputo.
Poi aveva saputo la madre di Lily.
E Lily aveva saputo.
E allora tutti avevano saputo. Tutti. E questa cosa aveva cambiato il mondo intero in un solo giorno.
E lui non gliel’avrebbe mai perdonata.
Proprio non hai paura, vero?
«No. Non di te, comunque.»
Il mostro strinse gli occhi.
Ne avrai, disse. Prima della fine.
Come ho già scritto più volte, la trama è molto semplice e breve. Se dovessi raccontarvela tutta (Non vi conviene, non sono granché a riassumere, verrebbe fuori una barzelletta sugli alberi.) ci metterei cinque minuti. Però riesce lo stesso ad essere originale ed efficace.
Le storie sono fra tutte le cose le più selvagge, tuonò il mostro. Le storie inseguono, predano e mordono.
«Queste sono cose che dicono gli insegnanti» fece Conor. «Ma nessuno gli crede.»
E quando avrò concluso le mie tre storie, disse il mostro, come se il ragazzo non avesse detto nulla, tu me ne racconterai una quarta.
Conor si contorceva nella mano del mostro. «Non sono bravo a raccontare storie.»
Me ne racconterai una quarta, ripeté il mostro, e sarà la verità.
«La verità?»
Non una verità qualsiasi. La tua verità.
E qui la mia parte rompiballe ha pensato “Di sicuro le storie saranno banali.”
E invece no, l’autore mi ha fregato anche stavolta. Non solo non sono banali, ma hanno finali inaspettati e morali per nulla scontate.
«Chi è il buono in questa storia?»«Non capisco. Chi è il buono in questa storia?»
Non sempre c’è un buono. Come non c’è sempre un cattivo. La maggior parte delle persone è una via di mezzo fra le due cose.
Conor scosse il capo. «È una storia orribile. E un inganno.»
È una storia vera, disse il mostro. Molte cose vere sembrano un inganno. I reami hanno i principi che si meritano, le figlie dei contadini muoiono senza una ragione, e a volte le streghe meritano di essere salvate. Molto spesso, in realtà. Non immagini quanto.
Vi lascio giusto una piccola anteprima di ognuna, se vi va di leggerla.
Prima storia
Uno dopo l’altro, i quattro figli del re furono uccisi. Dal fuoco di un drago, dalle mani di un gigante, dalle zanne di un lupo e dalla lancia di un uomo. Uno dopo l’altro, tutti e quattro i principi caddero, lasciando al re un solo erede. Il suo nipotino neonato.
(«Tutto questo sembra piuttosto fiabesco» disse Conor, sospettoso.)
(Non la penseresti così se sentissi le urla di un uomo che viene ucciso da una lancia, disse il mostro. O le sue grida di terrore mentre viene sbranato dai lupi. Adesso taci.)
Seconda storia
Sono venuto a raccontarti la seconda storia, disse il mostro.
Conor fece uno sbuffo esasperato e guardò di nuovo l’orologio spaccato. «Sarà brutta come quell’altra?» chiese, frastornato.
Si conclude con una distruzione come si deve, se è questo che intendi.
Conor si volse di nuovo verso il mostro. La sua faccia si era ricomposta in un’espressione che il ragazzo riconobbe come il ghigno malefico.
«È una storia con l’imbroglio?» chiese Conor. «Che sembra che stia andando in un modo e poi è tutta al contrario?»
No, rispose il mostro. Parla di un uomo che pensava solo a se stesso. Sorrise di nuovo, e la sua faccia si fece ancora più perfida. E che viene punito in maniera molto, molto esemplare.
Conor rimase un attimo a pensare all’orologio rotto, ai graffi sul parquet, alle bacche velenose che cadevano dal mostro sul pavimento lindo della nonna.
Pensò a suo padre.
«Ti ascolto» disse.
Terza storia
C’era una volta un uomo invisibile, cominciò il mostro, ma Conor teneva gli occhi fissi su Harry, che s’era stufato di non essere visto da nessuno.
Conor si mise a camminare.
A camminare dietro a Harry.
Non che fosse davvero invisibile, disse il mostro, seguendo Conor, mentre i suoni della sala si spegnevano al loro passaggio. Il fatto era che la gente si era abituata a non vederlo.
«Ehi!» fece Conor. Harry non si voltò. Né lo fecero Sully o Anton, anche se ridacchiavano mentre Conor accelerava.
E se nessuno ti vede, disse il mostro, affrettando il passo anche lui, esisti davvero?
Se dirai la verità, gli bisbigliò nell’orecchio il mostro, sarai in grado di affrontare qualunque cosa accada.
Il concetto che viene portato avanti per tutto il romanzo è molto bello e utile, soprattutto per un bambino: Se non affrontiamo certe verità, esse ci logoreranno…
Spoiler«Ci pensavo da un’infinità di tempo» disse Conor lentamente, penosamente, sforzandosi di tirar fuori le parole. «Lo sapevo da sempre che non ce l’avrebbe fatta, sin quasi dall’inizio. Ha detto che sarebbe guarita perché era quello che io volevo sentire. E le ho creduto. Ma non ci credevo veramente.»
No, disse il mostro.
Conor deglutì e continuò: «E ho cominciato a pensare a quanto desideravo che finisse. A quanto desideravo non essere più costretto a pensarci. Al fatto che non potevo più reggere l’attesa. Non riuscivo a reggere la solitudine che mi costringeva a provare».
Cominciò a piangere per davvero ora, più di quanto non avrebbe creduto di poter mai fare, ancora di più addirittura di quando aveva scoperto che sua madre era ammalata.
E una parte di te desiderava che finisse e basta, disse il mostro, anche se questo avrebbe significato perderla.
Conor annuì.
E cominciò l’incubo. L’incubo che si concludeva sempre con…
«La lasciavo andare» disse Conor, la voce strozzata. «Avrei potuto trattenerla, ma la lasciavo andare.»
E questa, disse il mostro, è la verità.
…ma soprattutto, se non impariamo a perdonarci, ci divoreranno.
SpoilerLa vita non si scrive con le parole, disse il mostro. Si scrive con le azioni. Quello che si pensa non conta. La sola cosa importante è ciò che si fa.
Ci fu un lungo silenzio, e Conor riprese fiato.
«E allora cosa devo fare?» chiese infine.
Devi fare quello che hai appena fatto, disse il mostro. Dire la verità.
«Tutto qui?»
Credi che sia facile? Il mostro alzò due enormi sopracciglia. Tu eri pronto a morire piuttosto che dirla.
Conor si guardò le mani, disserrandole infine. «Perché quello che pensavo era terribilmente sbagliato.»
Non era sbagliato, disse il mostro. Era solo un pensiero, uno su un milione. Non era un’azione.
«È solo un sogno» ripeté.
Ma che cos’è un sogno, Conor O’Malley? disse il mostro, chinandosi finché il suo viso non fu vicino a quello del ragazzo. Chi può dire che non sia un sogno tutto il resto?
Lo stile è molto semplice, adatto ad ogni età. Le descrizioni sono poche e ci sono solo quando è davvero necessario, il resto è lasciato tutto all’immaginazione del lettore; l’intero romanzo è costituito per lo più da dialoghi, sono le parole dei personaggi a portare avanti la trama.
Meglio bere un bicchier d’acqua, pensò, gettando da parte le coperte. Alzarsi e ricominciare quella nottata da zero, dimenticando tutte quelle storie sui sogni, stupide insens…
Qualcosa fece cic-ciac sotto il suo piede.
Accese la lampada. Il pavimento era ricoperto di bacche di tasso rosse e velenose.
Che chissà come erano entrate attraverso la finestra chiusa.
Lo stile surreale è quello che più preferisco, sia per i libri che per i film. Quando più mondi si mischiano e non riesci più a capire quale sia quello vero, e ogni cosa, anche la più brutta o dolorosa, raccontata così ti lascia qualcosa senza opprimerti.
«Dannazione!» esclamò. «Sto sognando o no?»
Si alzò nervoso…
E subito sbatté l’alluce.
«Che c’è adesso?» brontolò mentre accendeva la luce.
Da un nodo, su una tavola del parquet, era spuntato all’improvviso un arboscello, giovane e robusto, alto circa un metro.
Conor restò imbambolato a guardarlo. Poi scese in cucina a prendere un coltello per segarlo via dal pavimento.
Nell’intero romanzo non ci sono termini medici o specifici, tutto è raccontato in modo distante, semplice. La chemio, la radioterapia, i farmaci non esistono. Tutto è una “Cura”.
Anche questa è stata una scelta stilistica per agevolare la lettura anche ai bambini più piccoli, che magari certi termini o dettagli non possono comprenderli in pieno
Conor guardò per terra, poi su verso la luna, ovunque tranne che negli occhi del mostro. La sensazione da incubo cresceva dentro di lui, e trasformava tutto quello che lo circondava in oscurità, facendo sembrare tutto pesante e impossibile, come se gli venisse chiesto di sollevare una montagna a mani nude e nessuno gli permettesse di andar via finché non l’avesse fatto.
L’autore si immerge totalmente nei suoi personaggi, ma al tempo stesso riesce anche a strutturare bene ogni cosa per far immedesimare il lettore, e non sono delle capacità che hanno tutti.
Poi, in un modo o nell’altro, la settimana scolastica era ricominciata. Per quanto sembrasse assurdo, per il resto del mondo il tempo continuava a girare.
Il resto del mondo non era in attesa.
Il mostro parve crescere dinanzi agli occhi di Conor, diventando più alto e più grosso. Un vento improvviso, forte, mulinò intorno a loro, e la creatura allargò le braccia, così tanto che parvero toccare due orizzonti opposti, così tanto da sembrare abbastanza grandi da avvolgere il mondo intero.
Il romanzo è narrato in terza persona, con un narratore esterno. Eppure, l’autore si immerge talmente tanto, che sembra sia stato un bambino a scrivere questa storia. Ad esempio con paragoni esagerati e la concezione che gli adulti siano vecchissimi.
C’era un grosso orologio digitale appeso al muro della mensa, comprato negli anni Settanta come tecnologia all’ultimo grido e mai più sostituito, nonostante avesse più anni della madre di Conor.
SpoilerGli umani sono bestie complicate, disse il mostro. Come fa una regina a essere al contempo una strega buona e una cattiva? Come fa un principe a essere un assassino e un liberatore? Come fa un antico semplicista a essere avido ma anche saggio? Come fa un curato a essere irragionevole e anche generoso? Come fanno gli uomini invisibili a diventare ancora più soli rendendosi visibili?
«Non lo so.» Conor si strinse nelle spalle, esausto. «Non ho mai capito il significato dei tuoi racconti.»
La risposta è che non conta quello che pensi, disse il mostro, perché la tua mente si contraddirà cento volte al giorno. Tu volevi che lei andasse nello stesso momento in cui desideravi ardentemente che io la salvassi. La mente crede a bugie confortanti, mentre conosce le dolorose verità che rendono necessarie quelle bugie. E la tua mente ti punisce per il fatto che credi contemporaneamente a entrambe le cose.
«Ma come si fa a combatterle?» chiese Conor, la voce rotta. «Come si fa a combattere tutte quelle cose diverse che hai dentro?»
Dicendo la verità, rispose il mostro. Proprio come hai appena fatto.
Qualsiasi cosa potrei dire sul finale sarebbe uno spoiler, quindi mi limiterò a dirvi che è mi è piaciuto davvero tanto. Molto più di quello che immaginavo.
Spoiler«Rimarrai?» sussurrò al mostro, appena capace di parlare. «Rimarrai fino a…»
Rimarrò, gli rispose il mostro, le mani ancora sulle spalle del ragazzo. Adesso la sola cosa che devi fare è dire la verità.
E Conor lo fece.
Prese fiato.
E, infine, pronunciò la verità piena e definitiva.
«Non voglio che tu te ne vada» disse, le lacrime che gli scendevano dagli occhi, lente dapprima, e poi con la furia di un fiume in piena.
«Lo so, amore mio» disse sua madre, con la voce impastata. «Lo so.»
Il ragazzo sentiva il mostro che lo sosteneva, permettendogli di restare in piedi.
«Non voglio che tu te ne vada» ripeté.
E fu la sola cosa che ebbe bisogno di dire.
Si chinò sul letto e la cinse con il braccio.
La strinse.
Sapeva che sarebbe arrivato, e presto, forse proprio alle 12.07. Il momento in cui sarebbe scivolata via dalla sua presa, per quanto forte potesse tenerla.
Ma non adesso, sussurrò il mostro, ancora accanto a lui. Non subito.
Conor si strinse forte alla madre.
E, facendolo, poté infine lasciarla andare.
È un romanzo surreale, dai temi forti, che riesce sempre a sorprenderti e a darti degli scossoni. Penso che chiunque, leggendolo, possa trarne qualcosa, lo consiglio veramente a tutti.
Se vi sentite anche solo un po’ attratti da questo romanzo, assecondate questo istinto e andate da lui, come ho fatto io, non ve ne pentirete.
Voto: 10/10
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“Le storie sono creature selvagge e indomite, continuò il mostro. Quando le liberi, chi può sapere quali sconvolgimenti potranno compiere? ”
Ok, già per questa frase meriterebbe di essere letto. La recensione mi è piaciuta molto e nonostante mi avesse preparato psicologicamente ad alcuni contenuti nascosti negli spoiler, leggendoli non ho potuto fare a meno di commuovermi.
Un altro motivo per leggerlo? Il tuo voto, pensavo che non avrei mai letto 10/10 in una tua valutazione XD
Bam, un 10/10 questo si che è un evento raro! 😀
Ho parecchie cose da leggere in sospeso, ma credo che un cantuccio per questo libro posso ricavarlo, grazie per cercare, trovare e recensire queste perle e darle in pasto ai pigroni come me XD
Beh considerando che lo hai valutato così tanto bisogna proprio leggerlo! Secondo te, visto che ci sono termini così semplici, è fattibile in inglese?
Sì, penso ne valga proprio la pena. Ho letto alcune critiche per la traduzione un po’ legnosa, quindi penso che l’inglese sia l’ideale per evitare ogni problema.
Prima ancora di aprire la recensione sapevo che poi sarei finita a cercarlo / ordinarlo su internet, perché per meritarsi un 10/10 da parte tua doveva essere un libro specialissimo! E dopo averla finalmente letta, non ho cambiato idea, anzi!
Sono ancora in tempo per un abbraccio? Perchè non ho resistito e ho letto tutti tutti gli spoiler, ma lo leggerò comunque!