Ultimamente ho fatto un grosso ordine da Amazon, e ne ho approfittato per acquistare un libro da tempo nella mia wishlist: sto parlando di Paradisi Perduti, della fantastica Ursula Le Guin. Un romanzo di poco più di 100 pagine, apparso nell’antologia The Birthday of the World e tradotto in Italia una decina di anni dopo.
Titolo | Paradisi Perduti |
Autore | Ursula K. Le Guin |
Data | 2002 |
Pubblicazione italiana | 2013 |
Editore | Delos Books |
Traduttore | Salvatore Proietti |
Titolo originale | Paradises Lost |
Pagine | 142 |
Reperibilità | Normalmente reperibile su siti di e-commerce |
Perché recensire Paradises Lost?
Perché è giusto dare visibilità a un’artista che da troppo tempo in Italia viene considerata poco.
Perché è uno dei pochi libri recentemente tradotti, insieme a Lavinia che ormai è introvabile.
Perché è di Ursula Le Guin che stiamo parlando, e lei merita una recensione anche per la sua lista della spesa.
Un’astronave contenente migliaia di essere umani viaggia nello spazio alla volta di nuovo pianeta, possibilmente adatto alla sopravvivenza. Per compiere un simile viaggio devono passare circa 200 anni: un tempo lungo ben 6 generazioni. La storia si svolge circa 40 anni prima l’atterraggio previsto: seguiamo il percorso fatto da Hsing e Luis, due giovani amici della 5° generazione. Ci sono le tappe fondamentali: la scoperta dei genitali, la cerimonia della vestizione, la scuola e l’università. In particolare Hsing si ritrova a scoprire un segreto che riguarda l’astronave e il suo futuro…
La vita all’interno di questo microcosmo è altamente efficiente e funzionale: tutto viene riutilizzato continuamente e non c’è spazio per gli sprechi. Persino i corpi dei defunti vengono riciclati. Inoltre sono stati eliminati molti dei problemi e dei pericoli tipici della razza umana (una situazion simile la possiamo vedere nel racconto La lingua degli Nna Moy):
[…] E certi batteri soltanto. Niente muffe, niente lieviti fuori controllo. Nessun virus (un altro ordine più giù). Niente che causi malattie negli esseri umani o nelle piante. Niente tranne batteri necessari, quelli che fanno le pulizie, che digeriscono, che producono lo sporco, lo sporco pulito. Nel mondo non esiste cancrena, o setticemia. Niente raffreddore di testa, niente influenza, niente morbillo, niente peste, niente tifo, febbre tifoide, tubercolosi, AIDS, dengue, colera, febbre gialla, Ebola, sifilide, poliomielite, lebbra, bilharziosi o herpes, niente varicella, ulcere fredde o fuoco di Sant’Antonio. Niente malattia di Lyme. Niente zecche. Niente malaria. Niente zanzare. Niente pulci, mosche, scarafaggi o ragni, niente scarabei o vermi. Nel mondo non c’è niente con meno o più di due zampe. Niente che si nasconde in minuscole fessure, agita viticci, sgattaiola nell’ombra, depone le uova, si lava la pelliccia, fa scattare le mandibole, o fa tre giri su di sé prima di stendersi col naso sulla coda. Non c’è niente con la coda. Nel mondo non c’è niente che ha tentacoli, pinne, zampe o artigli. Nel mondo non c’è niente che volteggia. Niente che nuota. Niente che fa le fusa, abbaia, ringhia, ruggisce, cinguetta, trilla o lancia ripetutamente due note, una quarta discendente, per tre mesi l’anno.
Ma la Le Guin scrive di utopie perfette? Ovviamente no: ad esempio viene descritto un uomo che perde la ragione e uccide la moglie e la figlia.
Sulla nave si forma anche una sorta di religione: la Beatitudine.
La Beatitudine è un coerente sistema di pensiero che ha quasi perfettamente senso, in sé e come sistema religioso, per persone che vivono come viviamo noi. In effetti, è questo il problema. La Beatitudine è una proposizione autosufficiente, un sistema chiuso. È un adattamento psichico alla nostra vita, la vita sulla nave, un adattamento a un sistema autosufficiente, un ambiente immutabile che provvede sempre a tutte le necessità.
La vita sull’astronave è così perfetta da essere ritenuta un paradiso: che il fine del viaggio non sia un nuovo pianeta, sporco, pieno di problemi e di incertezze? Questa vita perfetta non può essere mantenuta semplicemente… viaggiando?
Il libro è strutturato con paragrafi molto brevi: si alterna il punto di vista di Hsing con quello di Luis (anche se lui ha pochi capitoli dedicati). La scrittura della Le Guin è, come sempre, molto attenta ai dettagli e ai particolari. Inoltre Hsing scrive poesie: qualcuna compare nel libro… ad esempio questa, di rara bellezza:
Cos’è la tristezza in te
che vedo solo nel tuo sorriso?
Vorrei poter tenere la tua tristezza
fra le braccia, come un bambino che dorme.
Oppure un’altra, dedicata a un’amica ormai troppo distante:
Ci incontreremo sempre e non ci incontreremo più.
I nostri corridoi ci conducono per sempre lontane.
Paradisi Perduti è una bellissima storia. Nella sua brevità, si trovano tutti gli elementi che amo di Ursula Le Guin: l’utopia imperfetta, il tema del viaggio, l’introspezione dei personaggi, la cura per i dettagli, persino alcune poesie. Mi auguro davvero che altre sue opere non tradotte possano sbarcare in Italia: ce ne sono alcune di vecchissime! Ma anche altre, come più recenti, come i seguiti de I doni, non tradotti in Italia. Per quanto riguarda l’edizione di Paradisi Perduti: è ben fatta e arricchita da una postfazione interessante. Sono presenti alcuni refusi – lettere in grassetto o mancanti, perlopiù – che non ostacolano la lettura. In definitiva: un libro da leggere assolutamente!
Voto: 9/10.
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